domenica 26 giugno 2011

Il gladiatore che morì per un errore arbitrale

«Il fato e lo scaltro tradimento dell'arbitro mi uccisero»

Questo enigmatico epitaffio si trova sulla lapide funebre di Diodoro, un gladiatore romano del II secolo, che raffigura la scena centrale che portò alla morte di Diodoro: il defunto è raffigurato in piedi, a sinistra, mentre brandisce due corte spade; a destra, per terra, è il suo avversario Demetrio, che leva il braccio chiedendo di essere risparmiato.

La lapide, conservata al Reale Museo di Arte e Storia a Brussels
Gli indizi

La lapide fu trovata ad Amisus in Asia Minore (la moderna Samsun in Turchia) all'inizio del XX secolo, e donata al Musee du Cinquanternaire di Brussels subito prima della Grande Guerra. Fu eretta in onore di Diodoro, un gladiatore proveniente da Amisus, dai suoi amici o tifosi.

Oltre alla raffigurazione del gladiatore con le due spade e di quello a terra che chiede pietà, la lapide reca un'iscrizione in greco, in cui è cripticamente raccontato lo scontro:
Dopo aver sconfitto il mio avversario Demetrio non lo uccisi immediatamente. Il fato e lo scaltro tradimento del summa rudis mi uccisero.
Per comprendere l'epitaffio, Michael Carter, professore alla Brock University a St. Catharines, Canada, ha dovuto prendere in considerazione diversi elementi.

Innanzitutto il riferimento al summa rudis, una sorta di arbitro del combattimento, che poteva aver avuto esperienze precedenti nell'arena. Non era presente in tutti i combattimenti, ma l'esistenza di questa figura conferma che i combattimenti gladiatorii erano soggetti ad alcune regole, la cosiddetta lex pugnandi, che però sono praticamente sconosciute.

Ad esempio, un gladiatore atterrato dall'avversario aveva perso lo scontro; poteva chiedere la missio, la grazia, al summa rudis, che poi la riportava al munerarius, colui che finanziava i giochi, il quale tipicamente la concedeva o la negava in base all'umore del pubblico. Se invece l'atterramento fosse stato fortuito e non causato dal gladiatore avversario, il summa rudis poteva intervenire per permettere al gladiatore atterrato di rialzarsi e riprendere a combattere.

La ricostruzione

Secondo Carter, che è specializzato nello studio dei giochi gladiatorii, è probabile che durante lo scontro Diodoro avesse atterrato Demetrio e lo avesse disarmato; vedendo Demetrio chiedere la grazia, sarebbe arretrato, convinto di essere nominato vincitore dello scontro. Ed è questa la scena raffigurata sulla lapide e a cui fa riferimento la prima parte dell'epitaffio: «Dopo aver sconfitto il mio avversario Demetrio non lo uccisi immediatamente».

Ciò che accadde fu probabilmente l'intervento del summa rudis a ribaltare l'esito dello scontro, forse perché considerò fortuita la caduta di Demetrio, o per qualche altro motivo. Diodoro si trovò di nuovo a dover combattere contro il suo avversario, e questa volta ebbe la peggio, morendo sull'arena o successivamente a seguito delle ferite riportate.

I suoi amici e sostenitori, tra le migliaia verosimilmente assiepati sugli spalti, eressero questo epitaffio a ricordo dell'errore arbitrale che costò la vita al loro campione.

Owen Jarus, «Roman Gladiator's Gravestone Describes Fatal Foul», LiveScience, 17 giugno 2011; Antonio Lombatti, «Roman gladiator’s gravestone reveals fatal foul», 26 giugno 2011. L'articolo di Michael Carter «Blown Call? Diodorus and the Treacherous Summa Rudis» sarà pubblicato su Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik.

giovedì 2 giugno 2011

Una vasca per il pesce vivo nel relitto romano di Grado?

Tubatura in piombo della nave
Secondo Carlo Beltrame, archeologo dell'Università Ca' Foscari, un relitto romano conservato al Museo di archeologia subacquea di Grado dimostrerebbe che i Romani erano in grado di trasportare il pesce vivo da una parte del Mediterraneo all'altra, conservandole in vasche contenenti acqua di mare.

In un articolo pubblicato sulla rivista International Journal of Nautical Archaeology (Beltrame, C., Gaddi, D.& Parizzi, S. Int. J. Naut. Archaeol. doi:10.1111/j.1095-9270.2011.00317.x (2011)) Beltrame e i suoi collaboratori ricostruiscono un sistema di pompaggio dell'acqua marina ossigenata che metteva in comunicazione lo scafo della nave, perforato allo scopo, con alcune vasche contenenti il pesce vivo.