La più antica iscrizione cristiana è datata alla metà del II secolo e fu composta in onore di un defunto cristiano, seguace del teologo Valentino, con uno stile reminiscente della poesia funeraria ellenistica.
L'iscrizione, NCE 156, fu scoperta a Tor Fiscale nel 1953, ed è ora ai Musei Capitolini. Composta in lingua greca, la sua traduzione è la seguente:
Al mio bagno, i fratelli della camera nuziale portano le torce,[qui] nelle nostre sale, anelano ai [veri] banchetti,anche mentre lodano il Padre e glorificano il Figlio.Lì [col Padre e il Figlio] è l'unica fonte e sorgente di verità.
Secondo Gregory Snyder, si tratta di un epigramma funerario per un cristiano valentiniano, piuttosto che un'iscrizione battesimale, e risale al II secolo. Si tratterebbe dunque della più antica iscrizione cristiana, più antica del Cippo di Abercio.
La datazione al II secolo fu in realtà proposta già dalla rinomata epigrafista Margherita Guarducci, sulla base dell'uso nell'iscrizione di lettere greche di stile classico; a Roma, infatti, a partire dal III secolo, l'alfabeto greco iniziò a mutare, con le omega ('Ω') incise come fossero 'W' e le sigma ('Σ') somiglianti alla lettera 'C'. Il contributo di Snyder è stato quello di confermare la datazione all'epoca antoniniana dell'iscrizione attraverso un'analisi dell'uso delle lettere greche classiche nelle iscrizioni romane e napoletane dei primi secoli.
Il contenuto dell'iscrizione suggerisce che il defunto fosse un seguace del pensatore cristiano di scuola gnostica Valentino, il quale operò a Roma per circa un ventennio alla metà del II secolo; il fatto che l'iscrizione sia stata trovata non lontana dalla Via Latina suggerisce che la comunità valentiniana di Roma vivesse in quell'area.
Gli insegnamenti di Valentino sono contenuti, secondo molti studiosi, nel Vangelo secondo Filippo. Si tratta di un testo del III secolo ritrovato a Nag Hammadi, che raccoglie diversi testi, alcuni risalenti al II secolo, che trattano cripticamente degli insegnamenti di Valentino e della sua scuola. Alla fine del vangelo, ad esempio, si cita la «camera nuziale», cui fa riferimento l'iscrizione:
I misteri della verità sono rivelati, attraverso tipo e immagine. La camera nuziale, invece, resta nascosta. Essa è il Santo nel Santo. Il velo nascose inizialmente il modo in cui Dio controllò la creazione, ma quando il velo sarà rotto e le cose all'interno rivelate, questa casa sarà lasciata nella desolazione, o piuttosto sarà distrutta. E l'intera divinità (inferiore) fuggirà da qui, ma non nei santi dei santi, poiché non sarà in grado di mescolarsi con la luce non mescolata e la pienezza senza macchia, ma sarà sotto le ali della croce e sotto le sue braccia...
Il secondo contributo dell'articolo di Snyder è stato quello di collegare questo epigramma funebre cristiano con la letteratura pagana ellenistica. In un'iscrizione funebre ellenistica, infatti, il matrimonio poteva essere una metafora della morte: la defunta, per esempio, era raffigurata come rapita alla vita e obbligata al matrimonio con Ade, il dio dell'oltretomba. Nel caso dell'iscrizione cristiana, invece, la celebrazione nuziale è una metafora positiva della vita dopo la morte, la promessa di un'unione con la divinità che completa la vita del defunto.
Snyder sottolinea anche che la commistione di elementi cristiani e pagani non è affatto rara, nei primi secoli: al fianco delle iconografie bibliche, come Sansone o Lazzaro, vi sono divinità pagane come Ercole. In altre parole, è come se nei primi secoli, l'identità cristiana non fosse pienamente separata da quella pagana, ma che vi fosse una fusione di immagini; Snyder si chiede se questa fusione iconografica corrispondesse ad una fusione religiosa.
Owen Jarus, «World's earliest surviving Christian inscription identified», CBS News, 30 settembre 2011.
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